L’avventura inizia quando ancora il cielo sta decidendo se valga la pena di svegliarsi. Il nostro prode pilota, occhi assonnati ma spirito già in fiamme, lancia il mezzo verso il Bione come fosse un X-Wing in rotta verso la Morte Nera. Il cronometro segna le 5:45, e sul marciapiede un vecchio saggio (o forse solo un tipo a caso) lo guarda fisso negli occhi e gli dice: “Io credo in te.”
La profezia si avvera: svolta a destra in uscita dalla galleria, cartello “Bione” come una runa sacra, arrivo con soli cinque minuti di ritardo. Non male per una giornata che prometteva già di cominciare… in salita.
Alla funivia albigna arriviamo penultimi, con l’eleganza di chi fa le cose per scenografia. Ma sorpresa: partiamo per primi. Superiamo perfino Milesi. Un piccolo miracolo, come quando trovi il telefono che squilla e non è una truffa.
E allora si va: si cammina, si cerca, si scrutano omini di pietra come fossero antichi segni degli Dei della Montagna. La fatica si fa sentire, e nella fila si leva un grido disperato: “Un goccio d’acqua… per favore.” Non era una scena da film. L’ultima della fila, visibilmente in bilico tra la realtà e il mondo delle allucinazioni, vede Gigi inginocchiato a bere da un ruscello come un cervo assetato. Spoiler: non era un sogno, semplicemente non aveva riempito la borraccia.
Alla base della via l’attacco è finalmente individuato. La scalata comincia: Silvia e Marco aprono la danza verticale, seguiti da Leo e Simo, con Stefano e Gigi a chiudere la processione.Ultimi, sì, ma mica meno importanti. La chiusura è un’arte (come quella delle ghiere)
La progressione è fluida, serrata, come una coreografia ben studiata. Saltiamo le soste come ninja che non hanno tempo da perdere.
Piccoli sherpa crescono, curiamo il materiale con la dedizione di monaci tibetani, perché i nostri istruttori possano tirarci fuori da lì interi (più o meno).
E poi c’è l’altruismo in cordata, quello vero. Silvia, modello di efficienza, lascia soste già pronte. Non per comodità propria, certo, ma solo per amore dei compagni.
Una barretta, una cochina, e via sul prossimo tiro. Cordata dura, gente seria: non si molla un appiglio. La parete? Più dura. Lo dimostra un livido che sfoggia con orgoglio tutte le tonalità di un tramonto apocalittico.
Alla fine, la vetta. Panorama, foto, sorrisi: l’illusione della pace. Ignari che il vero boss di fine livello doveva ancora arrivare.
Il secondo anello di calata… non c’era. Non era uno scherzo, e nemmeno l’anello di Sauron. Era proprio sparito.
Ore 15:00. La seggiovia chiude alle 16:45. Il tempo diventa un mostro invisibile che ci respira sul collo. Gli sguardi si fanno seri, il tono epico. La missione ora è raggiungere l’ultima funivia.
Grazie a frecce rosse, intuito, preghiere e un pizzico di disperazione, troviamo la sosta. Ci caliamo come farfalle leggiadre……e atterriamo come sacchi di patate esausti.
Sentiero ore 15:35. Siamo vivi, tutti. Nessuno parla, si corre. Corsa contro il tempo, stile Fast & Furious – versione trekking. Si arriva alla seggiovia, in tempo.
Sudati, rotti, ma con quella scintilla negli occhi che dice: “Domani lo rifarei.” Bugia. Ma oggi, ci sentiamo un po’ eroi.
Pizzo Balzetto cresta s- sw Albigna.
Silvia e Leo