Nonostante il meteo avverso e mille peripezie che ci hanno costretto a rimandare la gita, siamo finalmente riusciti a commemorare il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Renzo Cabiati.
Per chi non lo conoscesse, intrepido alpinista che ha dato il nome alla nostra Scuola di Alpinismo, fondata in suo onore dopo la sua prematura dipartita.
In una piovosa sera di primavera, abbiamo deciso di rimandare l’evento al 7-8 settembre. Strano ma vero, il 2 giugno, giorno in cui successe l'incidente, c’era troppa neve per poter tentare la cima; tutto vero, è il 2024 e i cambiamenti climatici, a quanto pare, sono qui.
Un’uscita che purtroppo ha avuto dalla sua un po di sfortuna, che, nonostante le makumbe e le preghiere, si è comunque rivelata impegnativa. Ahimè, anche questa domenica piove.
Ma non c’è tempo da perdere, il sabato si rivela essere l’unica finestra di bel tempo, e va sfruttata al massimo. Beppe docet.
Di qui l’idea luminosa: saliremo il sabato. Una favolosa ascensione in giornata.
Purtroppo per noi niente scalata, nessuna cresta Baroni o Diavolino e Diavolo; ma solo Diavolo per la via Normale per tutti indistintamente. E a noi va bene così.
Del resto, anche Renzo era salito per la Normale, sarà stato quindi lui ad influenzare la nostra sorte? Chi può dirlo, ma a noi sotto sotto piace pensarlo.
Beppe è un mega fan dell’essere in orario, anzi, in anticipo.
E la suddivisione dei gruppi si rivela già un’impresa; lista dei nomi, controllo delle presenze come a scuola ed ecco che sorge il primo problema: manca un gigante.
Beppe è su tutte le furie, non solo non stiamo partendo 5 minuti prima dell’orario stabilito, ma addirittura dobbiamo aspettarne 15!
Jeep per il rifugio perse e tre colazioni dopo, eccoci in attesa, ma finalmente il gigante mancante si scorge all’orizzonte e siamo quindi pronti a partire.
Il primo gruppo si identifica seduta state, dandoci almeno mezz’ora di scarto, e parliamo solo della prima parte di percorso…
In ogni caso tutti riusciamo a salire con più o meno calma e più o meno pressa, ma alla fine giungiamo al fatidico bivio, dove ci attente una meritatissima sosta barretta.
Da lì in poi saliamo con un unico obiettivo: accompagnare Piercamillo Cabiati alla targa posta all’inizio della cresta del Pizzo, per deporre un mazzo di fiori e attaccare il gagliardetto della Sezione.
Quindi TIRARSI SU, camminare, salire, ascendere.
Sopra la vegetazione e sopra i prati, fin dove la roccia inizia a predominare.
È da lì, una volta rivolto un pensiero e una preghiera, guardando quella lapide ci accorgiamo di quanto sia bella e pericolosa la montagna; mortale e vitale allo stesso tempo. In ogni caso bellissima e poetica ai nostri occhi.
Piercamillo ci saluta, il suo obiettivo è raggiunto, ci augura buona fortuna e ritorna alla base, Rifugio Calvi.
E la nostra ascesa continua, direzione cresta, direzione cima.
Una roccia dopo l’altra, avanziamo sempre più verso la vetta, dove Beppe e il gruppo di testa ci stanno aspettando.
Semplice, divertente e con una vista strepitosa, questa cresta ci conquista un passo alla volta, fino a scorgere la croce di vetta.
E di fianco alla croce, qualcuno fa gesti strani. Ci sono braccia agitate con movenze meccaniche e passi a dir poco robotici… È Beppe, che sta mostrando dalla cima delle Orobie, come si balla la techno. Ah no, scusate, stava solo indicando la Valmalenco che faceva capolino fra i cumuli. Lo avremmo preferito in veste di ballerino, e invece eccoci, a seguirlo col fiatone fino in cima alla montagna.
Le nuvole, che nel frattempo si stavano lentamente accumulando, si diradano per mostrarci quanta bellezza può regalare una giornata di fine estate.
E la vista a 360 gradi è emozionante, si vede la Valtellina, la Valmalenco e anche il Bernina, oltre a una miriade di cime più o meno bianche, che fanno capolino in lontananza.
Scatto di rito - se non c’è la foto, in cima ci sei realmente stato? - e giù, seguendo le orme di Renzo e i bolli rossi.
Iniziamo a scendere e, come capita spesso, l’itinerario di discesa, pur essendo lo stesso della salita, è molto più lungo e non finisce mai.
Avvistiamo un grazioso stambecco, anzi tre, mimetizzati a regola d’arte fra le rocce e puntiamo al grande pianoro verde sotto di noi.
Non so dirvi quante migliaia di passi dopo - perché la matematica non mi appartiene, e, onestamente, temo di aver perso il conto a 10 - ma finalmente scorgiamo un edifico rosa che, un po’ come è stato “terra” per Cristoforo Colombo, ci anticipa la riuscita dell’impresa.
Posiamo gli zaini, togliamo gli scarponi e facciamo del vistoso stretching, ma in realtà l’unica cosa che vorremmo è avere una birra ghiacciata in mano, Gigi lo sa e provvede immediatamente.
Si decide il menù cena con non poche difficoltà, e via verso una doccia! Credevate ci lavassimo eh?? Invece no. Sin ci dice che “anche la donna in rifugio a da puzza” e chi siamo noi per contraddirla… dopotutto o ci laviamo tutti, o non si lava nessuno, e come sappiamo, l’acqua è un bene prezioso che non dovremmo mai sprecare.
Comunque… Cena, genepì (più di uno tranquilli, siamo tutti alpinisti seri qui) e dopo molte risate, alle 22 e qualche minuto, tutti a nanna.
L’indomani ci si sveglia accaldati ma soprattutto tristi per la pioggia che sta già bagnando i tetti.
È tempo di tornare. Io, Sin e Giuls facciamo orecchie da mercante, non vorremmo tornare così presto; dopo torte e caffè, ci sorprendono nel bel mezzo di una partita a Scala 40, ma ahimè ci tocca andare.
Il rientro è umido e fangoso, ma rientriamo alle macchine soddisfatti e col sorriso, è stato proprio un bel fine settimana.
E chissà, magari, fra dieci anni, o anche prima, chi lo sà... torneremo per portare nuovi fiori e fare un’altra visita a Renzo, omaggiando così il suo immenso amore per la montagna, che a dire la verità è anche il nostro.
Gli amici di Renzo.