SENZA IL LUSTRO DEL VANTO

Pizzo Cavregasco
Regione: 
Lombardia - North Lario
Gruppo montuoso: 
Alpi Lepontine
Località: 
Bodengo - West Coast
Difficoltà: 
Non calcolabili o ininfluenti
Segnavia: 
Da aprire col machete

Ci sono luoghi dove ancora la civiltà umana non è arrivata a portare i suoi confort e le sue certezze. Dalla prima salita al Monte Bianco da cui è nato pian piano l'alpinismo che tutti oggi conosciamo, orde di conquistatori dell'inutile hanno girato in lungo e in largo le alpi relazionando ogni percorso possibile e immaginabile, aprendo sentieri, piantando chiodi. Ma c è un luogo che per qualche motivo non ha avuto questo destino, dove tutto è ancora come natura lo ha fatto.

Dopo aver ricevuto vari rifiuti convinco l'ignaro Teo Re ad assaltare la misconosciuta cresta delle Lavine Rosse al Pizzo Cavregasco, montagna di 2500 metri, cima possente ed ardita che viene salita di rado dai pochi escursionisti che si spingono in val Bodengo.

Una salita faticosa e vanagloriosa, che al raggiungimento della cima non aggiunge nemmeno il lustro del vanto. Uno dei pochi baluardi del primordiale alpinismo di media montagna.

Partiamo alle ore 6.00 dal Bione, e conduciamo il verdeggiante cubo libre fino a Bodengo, lo parcheggiamo e gli raccomandiamo di comportarsi bene mentre noi saremo alle prese con le selvagge lande alto lariane.

Raggiungiamo un torrente che guadiamo mediante le "opere idriche", stravagante termine usato dall'unica relazione disponibile per indicare un ponte con tubatura dell’acqua.

Da lì in breve siamo a un alpeggio, dove incontriamo un arzillo settantacinquenne intento a somministrare del sale alle sue vacche, che intrattiene con noi una eterna ed estenuante conversazione in cui ci informa che la difficoltà della salita è LB (l'è bröta!), raccontandoci di come trent'anni or sono espugnò valorosamente la vetta a sua volta.

Ci mostra il percorso e ci rimprovera per non aver portato con noi un binocolo, strumento a suo dire indispensabile. Proseguiamo la salita prima su sfasciumi poi in steppa di rododendri, la marcia da qui in poi diverrà penosamente lenta e faticosa.

Saliamo guadando torrenti, salendo sfasciumi ed affrontando draghi, fino alla vertiginosa cengia che porta al taglio di Ingherina, che si  percorre prima afferrando i robusti ontani, poi tirando un cordino appartenente ad epoche lontane.

Raggiungiamo il sopracitato valico, davanti a noi si aprono le selvagge praterie della Val Cavrig, in cui smarriamo la retta via, il che ci costerà immani sforzi per risalire un costone erboso. Arriviamo finalmente all'attacco della cresta, totalmente straziati ma decisi a vincere l'ardito filo di granito che ci separa dalla cima.

La cresta è degna della sua locazione alto lariana, bella roccia, esposizione più che sostenuta.

Arriviamo a una profonda spaccatura, battezzata "camino infernale" da nientemeno che Alessandro Gogna, che si supera su un masso incastrato. Dopo essere passati ci si rende conto della precarietà di tale masso e l'abissale profondità del camino sottostante.

Da qui si esce su psichedeliche cenge erbose che tagliano la vertiginosa parete Nord Est, oggi rese più emozionanti dalla presenza di neve. Da qui in breve siamo alla cumbre.

Sul volto del Teo compare un’espressione di gioia, che mostra una totale inconsapevolezza della discesa che lo aspettera.

Sul libro di vetta ritrovo le firme di quando salii nel lontano 2022 da un’altra via… bei tempi, gioventù passata.

Iniziamo a scendere lungo la cresta sud ovest, dove rinvengo delle cinghie da officina che usai durante la prima salita per attrezzare le doppie… sembrano ancora nuove! Hanno solo cambiato colore, dal viola al bianco.

Questa volta decidiamo di non servirci dell’inutile surplus della corda e di scendere in disarrampicata, e dopo una breve ravanata siamo sulla parte bassa della cresta, che ci porta alla Bocchetta delle Streghe con lunga ravanata su marocca.

Da qui si continua a scendere in un orripilante canale di blocchi, in cui entrambi subiremo delle cadute che ci lasceranno tumefazioni in varie parti del corpo, fino ad incappare nell' incubo peggiore: il bosco di ontani.

Ci facciamo penosamente strada nell' impenetrabile foresta, tra zaino che si incastra e rami negli occhi, uscendone stremati e vicini alla disperazione.

Da qui disarrampichiamo una cascata in secca, disgaggiando notevoli quantità di materiale didattico, e via, nuovo bosco di ontani che non ha buone ripercussioni sull'umore del Teo.

Finiamo quindi in una steppa di rododendri, il cui attraversamento causerà delirio e visioni mistiche. Giungiamo al sentiero, dove come naufraghi su una spiaggia ci sdraiamo, totalmente arati e psicologicamente provati dalla frustrazione derivante dalla progressione sugli scabrosi terreni incontrati oggi.

Come in un miraggio ci si presenta davanti agli occhi un gruppo di venti vecchietti dignitosamente brilli, reduci da una mangiata al bivacco Notaro, che accettano di trasportare i nostri nauseabondi resti fino al cubo libre, rimasto in vigile attesa al paese sottostante.

Arrivati alla civiltà incontriamo il pastore trovato al mattino, che vedendo il cubo incustodito ci credeva già cibo per i condor.

Lo vediamo molto sollevato dal rivederci interi e sbalordito dal nostro arrivo in vetta.

Scendiamo a valle dove andremo a ristorare corpo e mente dalle fatiche… credo che per un po' di tempo non rivedremo il Teo in Alto Lario… Io invece, lo dico a bassa voce, ho già voglia di un altro giro. Ogni tanto serve una dose di questo alpinismo anacronistico e totalmente incurante del secolo e mezzo di evoluzione dell'arrampicata.

Dai garlatesi per ora è tutto, se il presente report avesse suscitato nel lettore la voglia di spingersi in queste lande repulsive non avete di che farvi avanti, cerco personale!

Maraja.

29/09/2024
Pizzo Cavregasco
Pizzo Cavregasco
Panorama
Teo e Maraja