-19°C ... Che sudata

Couloir di Pontresina

 

Sicuramente questo inverno credo che in molti se lo ricorderanno, dico sicuramente, perché ho sentito molti di voi fare affermazioni sul fatto che è stato un inverno caldo; senza, o meglio con poca neve; pioggia, quella neanche a parlarne. La cosa veramente singolare, se andiamo nel profondo di questo inverno che ornai ha i giorni contati, il 21 marzo è dietro l’angolo, o forse per i più innovatori è già finito; lo sapete vero? Da più parti ormai si dice che l’inverno finisca il 28 febbraio, senza più rispetto per lui, l’Equinozio, ovvero il giorno in cui le ore di luce e quelle di buio sono uguali. Revisionisti.

Tutte queste parole solo per dire che in fondo basta solo organizzarsi, insomma se si vuole fare qualcosa, è una questione di interessi, di priorità, il tempo quello fisico e quello meteorologico, si trovano e si adeguano.

Ho visto foto di grandi sciate su manti immacolati e distese di polvere, certo magari abbiamo fatto cinquecento chilometri ma abbiamo sciato; idem con patate per chi voleva scalare, dicembre, gennaio e febbraio non ci hanno limitato, anzi al contrario ci hanno incentivato; per finire il ghiaccio, lui, il vero signore dell’inverno, ha saputo dire la sua, non sono certo mancate salite per ogni gusto e difficoltà.

Così pure io non mi sono sottratto al profilo dell’italiano medio sempre pronto a lamentarsi, per qualunque cosa: da quelle serie a quelle più frivole.

Ora arriviamo al dunque di queste quattro righe. Sei marzo, le previsioni parlano di un gran freddo sull’arco alpino, bisogna approfittarne e puntare a quella che potrebbe essere l’ultima cascata di stagione. Primo cercare un socio, tra i tanti (??) cascatisti in circolazione; secondo trovare la location, non troppo lontana, con poco avvicinamento, possibilmente bella, lunga e non troppo ingaggiosa, insomma chiedetemi sei numeri, giocateli al superenalotto e forse avete più probabilità voi di vincere che io di trovare il posto dei miei sogni. Ma come dice il proverbio: La speranza e l’ultima a morire, e cosi fu. Socio trovato, location anche, ore quattro e quarantacinque si parte, usciamo dall’Europa. Viaggio tranquillo, zero traffico, alle sette stiamo posteggiando la vettura, un piccolo parcheggio sperduto in una piana di neve desolata fa al caso nostro, piccolo dettaglio ci costerà una fortuna. Pronti, ci si prepara, chi ha fatto cascate lo sa, la vestizione e pari, se non più complessa di vestire una sposa. Calzamaglia, calze pesanti, maglia termica, primo strato, secondo strato, terzo strato… piumino, guscio, scarponi, cappello, guanti e se avete ancora qualcosa mettetevelo, non sarà certamente quello che farà peso!! Sia chiaro, tutto questo cercando di restare chiusi in auto, muovendosi come dei contorsionisti perché fuori il termometro segna -19°C, brrrr, che freddo.

Fase uno: avvicinamento alla cascata, per combattere il freddo la strategia e quella di imprimere un buon passo, con il solo risultato di perdere il compagno che imprecando arriva arrancando e surriscaldato.

Fase due: ora si deve scalare, chi parte?

Primo tiro, sempre il più ostico, a rompere il ghiaccio, permettetemi il gioco di parole, comincia lo scrivente; un bel muretto verticale di una dozzina di metri, riscalda subito polpacci e bicipiti, tre viti e poi via verso la sosta. A seguire tiro di raccordo, di quelli che fai fatica a dare corda al primo, tant’è che vai in affanno e ti prende la scaldazza.

Secondo tiro, di difficile lettura, una colonna verticale lavorata che si insinua contro la roccia e che scopriremo poi essere un tubo di flusso cavo!! Vietato picchiare troppo; uscita delicata molto secca che richiede l’suo dei friends, finalmente la sosta.

Terzo tiro, la fregatura dietro l’angolo; non c’è ghiaccio, e così è un attimo che si passa da ice a mixte, fino al dry. Non è uno scioglilingua, sono trenta metri in cui, qualche capello ti diventa nero, se, come nel mio caso siete già grigi!! Arrivi in sosta che ti pare di essere alle Maldive tanto l’adrenalina ti ha riscaldato.

Quarto tiro, non è ancora finita, ancora un bel muro verticale che sta già prendendo il sole e sgocciola come una doccia. Cercando una soluzione “facile” il compagno si complica la vita infilandosi in un diedro, che deve scalare a mani nude, il freddo non lo senti, pensi solo a come raggiungere la sosta.

Finalmente la cordata si ricongiunge e prepara le doppie per una veloce discesa in cinque calate; scendendo incontriamo tre local con i quali riusciamo solo a scambiarci un “freddo” ciao. Alla base sistemiamo tutto rimettendo molto disordinatamente il materiale nello zaino, che, come da prassi al ritorno pare si sia ritirato e sei costretto a mettere qualcosa fuori perché dentro non ci sta più. Siamo passati dalla Siberia alla primavera inoltrata, in vista della macchina, lapidario il mio compagno esclama: “che sudata”, ma come sottolineo io siamo a -19°C.

Grazie a tutti coloro con cui ho avuto la possibilità, in passato, oggi e avrò in futuro, di legarmi alle loro corde e scalare insieme. Fatti persone e luoghi non sono inventati, sono reali e parte del mio vissuto.

 

Beppe

06/03/2022