I segreti del buco della Val Miller

Il buco
Regione: 
Lombardia
Gruppo montuoso: 
Alpi retiche
Località: 
Val Miller

Giorno 1: Meglio un pugno di riso che un pugno di pugni

Mentre il resto della gente normale si gode il dopolavoro del venerdì con uno spritz, noi ci dirigiamo a gran velocità in direzione Valcamonica. L’attrezzatura è impeccabile: una Polo camperizzata in mezz’ora, una schiscetta di riso in bianco per la colazione dell’indomani e una pila di relazioni stampate da scartabellare per decidere quali imprese compiere nei prossimi due giorni. L’ambiente adamellino è famoso per essere selvaggio e austero, bisogna essere convinti delle proprie scelte… Ma il riso ci darà tutta la forza e la sicurezza di cui abbiamo bisogno. Intanto ci godiamo la magnifica stellata e il riposo notturno un-po’-compresso in reggia Volkswagen.

 

Giorno 2: I segreti di Naica (Natica per i locali, Laika per i caiani seregnesi)

Lo zaino è pesante e l’avvicinamento è infinito: ore 6:45 partenza da località Ponte del Guat, quota 1520m, direzione rifugio Gnutti (quota 2170m, 1h 45 minuti). Raggiunto il rifugio molliamo la roba da bivacco, seconda colazione e si punta al corno Miller. Dopo altre 2 ore abbondanti, intorno alle 11:00, siamo ai piedi della parete e attacchiamo il nevaio alla base in compagnia di Margherita (come la pizza) e Claudio (come quello che mangia la pizza), caiani bresciani che ci regaleranno un po’ di compagnia e meravigliose fotografie, scattate dalla linea accanto a Naica. La cima della terza torre del Miller incombe 370 metri sopra di noi, a quota 3100m, otto tiri più in su.

Si comincia pendolando sulla neve marcia, un po’ granita, un po’ crepaccio terminale. Scavalcato l’orrido buco siamo sul fidato granito del corno Miller, la Tonalite, stracciatella da spalmare sulla suola delle scarpette. I tiri sono lunghi e sostenuti, sempre intorno al V/VI grado tra placche e fessure. La roccia è spaziale. I primi tre tiri però ci costano molto tempo e fatica: l’RS3 non è un dettaglio trascurabile, la tensione si fa sentire e, per un momento, Laura pensa di abbandonare la salita. Ma ammetterlo costa troppo, perciò:

Laura: “Wow, che belli questi tiri! Vale la pena di essere saliti fin quassù solo per questi!”

Stefano: “Sissignora, lo puoi ben dire! E non vedo l’ora di scoprire come saranno gli altri!”

Laura: “Ma non è il caso di darci un orario limite? Sai, ci hanno dato l’orario per la cena al rifugio…”

Stefano: “Che ci importa! Dai che ce la facciamo ad arrivare in cima!”

Laura: “Ah… ce la facciamo?”

Stefano: “Ci puoi giurare!”

Sul viso di Laura spunta un sorriso: “Claudio! Avvisa il rifugista che faremo tardi. E, per favore, digli di tenerci in caldo la pasta!”

È dopo il quarto tiro che la musica cambia: intravediamo la cima, Claudio e Margherita sono un paio di tiri sopra di noi, sentiamo di potercela fare. Laura macina placca come un dentista spietato, Stefano, credendo sia una buona idea azzardare un “cambio-piede con saltino” su placca, spendola come Bonatti sul Petit Dru.

Sette ore più tardi è cima. La vista toglie il fiato: il ghiacciaio dell’Adamello sfavilla sotto le nuvole che si rincorrono, le pietraie sembrano sassolini da quassù e il cuore è pieno di gioia. Mai avrei creduto che la montagna potesse donare tanto. Ma è tardi, dobbiamo tornare: la cena era pronta un’ora fa. Le doppie vanno lisce come l’olio, il rientro a piedi invece è un infinito rantolio. Ma decidiamo di mordere l’immensità cantando lungo i sentieri che attraversano il pantano del Miller, raggiungendo velocemente le farfalline in bianco e la meritata birretta che ci aspettano al rifugio.

Sono le nove di sera di una giornata azzurra, calda e faticosa. Mangiamo e piantiamo la nostra minuscola tenda. La val Miller ci saluta con l’ultima luce del giorno prima di accendersi di stelle. C’è spazio per un’ultima poesia:

Laura xe bea come ‘a pasta dei sògni

Xe forte a scalar come il Ca(va)ssin

E da veder andar su per la roccia

Xe legera come il vento sulle cime

 

Giorno 3: La via attraverso il buco (quando si dice “questione di culo” e, come si suol dire, “un culo senza buco è piuttosto inutile”)

L’avvicinamento è infinito (ah, l’abbiamo già detto?). Questa volta al posto del pantano del Miller ci si parano davanti i residui di una frana preistorica: massi grandi come scuolabus in equilibrio su torrenti invisibili, buchi neri dove sacrificare cartilagini e caviglie. I segnavia però sono chiari: bisogna salire, e poi salire, e ancora salire, salire, salire, salire… Salire. Lasciata la traccia sulla frana che conduce al passo del Miller ci ritroviamo a salire un’altra frana senza segnavia. Ma la via è comunque chiara: salire. Quando arriviamo alla base del nevaio [omissis, ovvero censura: Laura mi sgrida, ma io non voglio riportarne il motivo], ci imbraghiamo e sorpassiamo di buona lena una cordata che si cala a ritroso lungo la via:

"Ehi, ragazzi, che succede? Si è tappato il buco?”

“No, niente tappo, troppe birre! Non ci passo...”

Qui le nostre certezze vacillano. E se anche la nostra possenza fosse troppo grande? Saliamo un poco e ci si para davanti il famoso camino col buco. Cavolo, è proprio piccolo! Con passi tutt’altro che eleganti, degni del più possente dei pachidermi, ci avviciniamo al pertugio e… ci passiamo! Grande gioia, grande gaudio! Ma non sapevamo che quello era solo l’inizio dell’odissea: risaliamo un evidente canaletto e poi ci si para davanti un immenso sistema di cenge. E mo’?? Puntiamo alla cresta sud-ovest senza percorso obbligato (come dice la relazione), ma forse un percorso obbligato c’è, visto che sbuchiamo nel regno del vento e della desolazione. Raggiungiamo infatti lo spartiacque a una distanza siderale dalla cima, dove, tra una risata e l’altra, un gruppo di alpinisti pasteggia e festeggia il buon esito della spedizione (con nostra grande invidia). Noi invece arranchiamo come granchi aggrappati agli spuntoni e all’erba da mastrociuffolare. Ore più tardi ci uniamo al festoso gruppo e, dopo poco rassicuranti raccomandazioni, cominciamo l’eterna discesa.

Scivoliamo giù da un canale erboso (più un colatoio che un canale), e dopo due doppie ci troviamo faccia a faccia con il pericolo più mortale dell’intera giornata: uno stambecco di trecento chili che soffia verso Laura con fare faceto, mimetizzandosi dietro a un sasso. Soffio allo stambecco, sfidandolo a duello, e Laura mi sgrida di nuovo [omissis, ovvero censura: le pupille rettangolari ci riempiono di terrore e mi convinco che più che soffiare, dovrei levare le tende].

Il resto della storia è pura fatica. Siamo in val Salarno, rimontiamo il passo del Miller, franiamo a valle insieme agli scuolabus, recuperiamo il pesante zaino del bivacco al rifugio Gnutti, voliamo giù dalle scale del Miller e 1500 metri più in basso, finalmente, è parcheggio. Il rientro è lisergico: le luci sembrano luci che sembrano stelle che sembrano semafori che sembrano autovelox. Solo tra tre mesi sapremo.

Nel frattempo c’è spazio per un ultima poesia:

Stefano xe beo come il vènt che sufia al matin

Xe forte a caminar come il Kili(galli)an

E da veder andar su per i passi

Xe agile come i becchi sulle cime

 

Alle remote valli e alla loro scoperta.

 

Un report di Stefano e Laura

14/07/2023
il buco
Il bianco riso della forza a reggia Galliani
Paparazzati da Claudio
Strettino?
I becchi in agguato
Slalom tra gli scuolabus