Mannaja lu pino mugo!

Vista al tramonto della Punta Osvaldo Esposito
Regione: 
Lombardia
Gruppo montuoso: 
Alpi Orobie
Località: 
Carona
Tempo di percorrenza: 
Interminabile
Difficoltà: 
Orientativa
Segnavia: 
210 non 208!!

Ore 5:00: La sveglia strilla facendomi pagare i bagordi della sera prima. Il piano di oggi è attaccare la Punta Osvaldo Esposito, un’avventurosa parete posta nelle verdi valli dell’alta Brembana che propone due vie poco frequentate (a torto o a ragione? Ai posteri l’ardua sentenza). Ci attende una lunga giornata orobica con avvicinamento orobico in ambiente orobico. Una sfacchinata orobica. Insomma una tapasciata.

Ore 6:00: Ritrovo con le vittime sacrific- ehm compagni di cordata in quel di Desio. Il dream team è composto da Peppo "Rombo di tuono", Giannuzzo "Terrore del mediterraneo", Carletta"Nocchiere del vascello" e Chiara, una new entry che presto si pentirà di averci conosciu- ehm "Nuova promessa dell’alpinismo morderno". Tutti con occhi spenti dal sonno, ma gli animi sono pieni di speranze per questa giornata di puro ravanage. Mannaja.

Ore 7:00: Da programma, avremmo dovuto incontrare altri compagni valmadreresi in un bel bar pasticceria di Villa D’Almè (Peppino come ti vizio) ma con un messaggio ci avvisano che loro si trovano in un hotel più avanti. Vedo tutte le mie fantasticherie di colazione iper-diabetica andare in fumo. Mannaja. Una volta giunti al sopracitato hotel, realizziamo essere una bettola deserta. Mannaja. Cerchiamo un altro posto. E mentre il calo di zuccheri si fa sempre più pressante troviamo un posticino dal nome esotico, moderno, sbarazzino e anche un po’ naif: il Vito’s bar. Buono eh, ma non sento la glicemia schizzarmi dagli occhi, come sarebbe accaduto in quella carataristica pasticceria che puntavo da ieri sera... Mannaja.

Ore 8:00: Ormeggiamo il vascello all’ultimo tornante di Carona e ci prepariamo all’ascesa. I nordici valmadreresi scalpitano, quindi decidono di partire galoppando, lasciando noi terroni seregnesi al nostro flemmatico destino. All’imbocco del sentiero c’è uno sciuro con una jeep-navetta e tra noi si instaura la curiosità di sapere quanto possa costare rendere la nostra escursione meno provante. E mentre penso “Secondo me costa un paio di reni” sento la voce di Gigi Sabani che esclama “Ok, il prezzo è giusto!”. Decidiamo che le nostre care e vecchie gambe sono decisamente il mezzo di locomozione migliore. Intanto lo sciuro della jeep ci da qualche indicazione sconfortata, come volesse metterci in guardia su quello che ci aspetta... Mannaja.

Ore 9:30: Giungiamo al Lago del Prato e ci si para di fronte un bivio. Sulla nostra destra la Punta Osvaldo si erge (anche se noi non lo sappiamo, però ne avvertiamo il richiamo. E se vi state chiedendo come sia il richiamo della Punta Osvaldo beh direi che assomiglia a un bisillabo che inizia per “po” e finisce per “ta”). Il sentiero 210 va a destra. Ma la relazione dice di seguire il sentiero 208, che va dalla parte opposta. Mannaja, come diavolo è possibile? Qualcosa non ci torna, ma evidentemente la maestra non ci ha fatto abbastanza complimenti quando eravamo piccoli, lasciando totalmente sottosviluppata la nostra fiducia in noi stessi. Decidiamo di fidarci di più della relazione. Stramannaja.

Ore 10:00: Passeggiamo amabilmente in queste amene valli verdeggianti. Continuo a buttare l’occhio sulla mappa con un dubbio che mi tartassa i pensieri incessantemente. In parallelo al sentiero corre un fiume. Effettivamente qui c’è un fiume. Però sulla carta dovrebbe essere alla nostra sinistra, mentre noi lo abbiamo sulla destra. Mannaja c’è qualcosa che continua a non tornare. E poi che razza di ore sono? Dovremmo essere già arrivati a quest’ora. E invece arriviamo a una baitella, dove intrattengo un rapido scambio di battute con una tenera vecchina: “signorina non dirmi che ti prende il telefono!” “no signora, sto controllando la cartina, temo che ci siamo persi… Stiamo cercando la Punta Osvaldo.” “Aspetta un attimo che chiedo al Claudio, magari lui vi può aiutare!” e si allontana girando l’angolo della baitella. Il cuore inizia a fremere: finalmente dopo un’ora di rimuginìo capirò dove diavolo siamo. Il signor Claudio, un prestante uomo di montagna bergamasco, ci cammina incontro chiedendo a gran voce “ma la Esposito??” e lì il cuore scoppia. Solo dal tono di voce ho capito che ci siamo persi come dei ciula. Dopo averci dato le indicazioni corrette condite da insulti un poco velati, ci rimettiamo in marcia, con le speranze che cominciano a vacillare. Giannuzzo non manca di esclamare “se avessimo fatto colazione alla pasticceria tutto questo non sarebbe successo! E’ stato il destino!”. Mannaja Giannuzzu quanto tieni ragione.

Ore 10:30: Torniamo sulla gippabile che avevamo abbandonato al famoso bivio. E chi ti rivediamo? Lo sciuro della jeep! Che con sguardo nu poco poco disilluso ci da di nuovo indicazioni per raggiungere questa benedetta Punta Osvaldo. “state in guardia però, che c’è già su gente che arrampica e la pietraia alla base non è bella se c’è gente”. Eccheccavolo sciuro della jeep, vuoi proprio smorzarci l’entusiasmo! Ma noi non demordiamo e proseguiamo! (Anche perché noi la conosciamo la gente che c’è su a scalare e se mi ammaccano il caschetto anche solo con un sassolino vado a tagliargli tutte le margherite del prato a Valmadrera).

Ore 11:00: Troviamo l’ometto che segna l’inizio della ravanata vera e propria: una pietraia misto pietra misto pino mugo (maledetto che nasconde gli ometti e ci fa fare su e giù e avanti e indietro più volte) da vincere lungamente, fino ad arrivare al tanto agognato attacco della via. E ravaniamo… E ravaniamo… “Ravano per ore nello sfasciume, finchè di speranza non ne rimane neanche un barlume” recitava il mio amico Marajà… Mannaja.

Ore 12:00: Siamo alla base della parete. Sopra le nostre teste i valmadreresi, ma su che via saranno? Sono ormai troppo lontani per comunicarci. Ci sono due vie: la Calegari/Farina, via storica, più semplice ma più interessante… noi vorremmo fare quella. L’altra via invece, Fuga Diagonale, è più moderna ma sempre di stampo classico. Comunque più impegnativa… Dopo l’avvicinamento che abbiamo dovuto patire direi che non è il caso. Ci guardiamo intorno, foto dell’attacco alla mano, ma non è che ci torna tanto quello che vediamo… Prendo coraggio e vado in avanscoperta. Mi allontano dai compagni, supero un pulpitino… guardo la foto della parete e noto un pinnacolo che si staglia accanto all’attacco… alzo il naso e riconosco il pinnacolo! Riprendo la foto dell’attacco e noto una colata nera sopra un diedro… alzo il naso e riconosco la colata nera! Riempio i polmoni d’aria e con una quantità tale di decibel che neanche Pavarotti si sarebbe mai sognato all’apice della sua carriera esclamo: “HO TROVATO L’ATTACCO!!”.

Ore 13:00: Attacchiamo. Parto io. Gli altri mi ripetono in continuazione che c’è un chiodo ma io vedo solo gli olii santi. Recupero il Peppino in sosta, che come sempre mi insulta perché “ti devi proteggereeee”. E la via va, tra imponenti diedri, cupi caminetti e sinistri sfasciumi. Abbiamo già parlato di ravanage giusto?

Ore 17:00: Io e Peppuzzo siamo in cima. Nelle mie orecchie risuona “Rocce Nere”, una bellissima melodia dedicata alle remote valli orobiche. Aspettiamo Giannuzzo e le fanciulle e mentre loro tirano il fiato, noi andiamo in avanscoperta alla ricerca della via di discesa. Dobbiamo percorrere lungamente l’affilata cresta della cima fino a trovare un intaglio dove si trova una sosta di calata. Avanziamo incerti, con questi stramaledetti pini mughi che sembrano volerci buttare giù dalla cresta. Ma noi resistiamo a questo attacco vegetale e raggiungiamo la sosta. Ci caliamo e raggiungiamo la pietraia sottostante… ed è di nuovo ravanage. La stramaledetta relazione è vaga, dice che possiamo raggiungere gli zaini lasciati all’attacco percorrendo dei ripidi canali… Si ma a che altezza saranno? Io e Giannuzzo con indomito spirito d’avventura ci lanciamo alla ricerca dei nostri averi surfando su instabili rocce e infilandoci in mezzo ad altri feroci pini mughi (la prossima volta porto il napalm giuro). Giannuzzo, sia lodato, trova una flebile traccia di chissà quale passaggio di chissàcchì e dopo un’estenuante ricerca ce la facciamo: siamo agli zaini! Ora non resta che ricomporci e ridiscendere l’ultimo tratto della stramaledetta faticosissima pietraia che termina in mezzo agli stramaledettissimi malvagi pini mughi… Mannaja!

Ore 20:00: Fine della pietraia, fine delle difficoltà. O forse no. Forse dopo 12 ore anche la comoda gippabile sembra un ostacolo insuperabile… Mannaja. Meno male che ci sono le lucciole.

Ore 22:00: Sgomenti, increduli, stupefatti, strafatti di acido lattico, siamo al furgone!! IMPERATIVO TROVARE SUBITO DELLA BIRRA.

Ore 22:30: Con grande stupore scopriamo che le remote valli bergamasche offrono molta più movida della grigia Brianza e ci catapultiamo in un posticino con l’unico desiderio di diluire l’acido lattico in un fiume di alcol. Con amarezza scopro che qui è usanza mettere le carote sulla pizza, ma non divaghiamo. Il dream team è a pezzi ma estremamente soddisfatto. Peppo "Rombo di tuono" di rombante ormai ha solo i dolori muscolari. Giannuzzo "Terrore del Mediterraneo" ormai riesce a terrorizzare solo le birrette che stermina una dietro l'altra. Carletta "Nocchiere del vascello" è pronta a cedere il timone a chiunque. E Chiara "Nuova promessa dell'alpinismo moderno" ha da prometterci solo che non vorrà scalare mai più insieme a noi (ti vogliamo bene, perdonaci, cambieremo). 

Ore 23:45: Molliamo gli ormeggi e ci trasciniamo verso casa. Crolliamo tutti catafratti tranne il fortissimo Giannuzzo che con occhi piccoli come un paio di micronut ci riporta sani e salvi nella dormiente Brianza. Inutile dire che quello al parcheggio è stato il congedo più sbrigativo della storia.

Ore 2:00: Sono a casa. Sono pronta a buttarmi nel bidone dell’umido per decompormi, con la consapevolezza che una giornata del genere mi ha insegnato a fidarmi di più dell’intuito e meno delle sacre scritture.

Buonanotte cajacci. E napalm al pino mugo.

Scritto da Laura Cavasin.

10/07/2021
Carataristico scorcio sul quinto tiro.
Giannuzzo, Carletta e Chiara che intrattengono una riunione di condominio sulla S4.
Io e Peppo ci apprestiamo a combattere i pini mughi sulla cresta sommitale.
In vetta! Senza neanche le forze di farci una foto inquadrata.